
di Franco Ludovisi
In una riunione ufficiale al Comitato Regionale ricevo l’ennesima provocazione dal Delegato dei Tecnici che dice che c’è una Scuola che richiede l’intervento di qualcuno per fare baseball ed io non mi rendo disponibile.
Non ne sapevo niente di questa richiesta, ma la prima cosa che penso è perché non ci va lui personalmente a lavorare per il nostro sport.
Perché l’intervento è a titolo gratuito forse?
Comunque, piccione come sempre, penso che questa opportunità per la nostra disciplina sia importante e tanto faccio (incontro col Presidente del Quartiere, con la Direttrice Didattica, presentando un progetto di lavoro ecc.) che arrivo al contatto con la Preside delle Scuole Manzolini, scuole elementari a due passi da casa mia, che mi chiede referenze prima di affidarmi alcune classi da indirizzare al baseball.
Presento il mio curriculum e la Preside mi guarda assai sorpresa e mi chiede:
“Ma lei, con questi titoli, perché vuole venire a lavorare nella nostra scuola?”
Non le rispondo, ma le mostro una pagella di quinta elementare ottenuta nelle scuole Manzolini appunto e sulla quale è riportato il mio nome e cognome: anno 1946!
La Preside allarga le braccia come a comprendere tutta la sua scuola e dice:
“E’ sua, sia il benvenuto!”
Comincia così un’avventura di sei lunghi e bellissimi anni con i miei affezionati bambini delle elementari che scrivono sui loro diari che il giorno più bello della settimana è “quando Franco viene ad insegnarci il baseball”.
Il lavoro alle Manzolini termina, per coerenza, quando la Federazione mi esclude da un corso per “operatore scolastico” e non indica, su mia richiesta, chi possa sostituirmi fra quelli che vi sono stati ammessi.
Questi anni mi insegnano molte cose:
Fino a circa otto anni i bambini giocano solamente e per loro l’agonismo è irrilevante.
Dopo le cose cambiano e la gioia della vittoria è certamente più intensa della sola gioia di giocare.
Appena i bambini arrivano alla palestra dove li aspetto è un’assalto per darmi il cinque che è il nostro modo di salutarci: ma qualcuno esagera ed allora i primi passi dentro la palestra li devo fare con il più piccolo di tutti aggrappato ad una gamba da cui è sempre più difficile staccarlo.
Le bambine, che so trattare meglio avendo avuto una femmina come figlia, mi riempiono di disegni che parlano di baseball, mi regalano piccole ed inutili cose che però hanno grande valore perché fatte con le loro mani.
Poi ci sono gli episodi, piccoli episodi, ma molto istruttivi:
un giorno un ragazzino di origine araba, non ancora molto integrato nella classe, creava qualche problema di disciplina; lo riprendo più volte finchè lo minaccio:
“Bada che io non sono mica il tuo maestro: se mi rompi l’anima ti rifilo un calcione nel sedere!”
Errore: il ragazzino vuole vedere se sono solo parole le mie e torna a provocare col suo atteggiamento e si prende il calcione nel culo.
Solo a questo punto mi rendo conto che sono nella scuola e penso alle conseguenze che ci saranno se qualcuno si lamenterà dell’accaduto: ma mentre rifletto su questo pensiero sento che gli altri ragazzini stanno gridando a gran voce: “Anche a me, anche a me” e contemporaneamente si girano per prendere il calcione.
E’ una buona soluzione per sdrammatizzare l’accaduto e diligentemente colpisco col piede tutti i didietro dei bimbi, con intensità assai minore del primo calcione.
E’ presente alla scena una maestra di sostegno per un bimbo disabile ed è esperta di psicologia infantile: le chiedo spiegazioni di questo atteggiamento dei bimbi e lei mi risponde che, non ricevendo mai dai genitori alcuna punizione, tanto meno corporale, riceverne una dal loro allenatore significa essere considerati da lui che li punisce per il loro bene!
Se sia accettabile la spiegazione, non lo so; ma non ci furono conseguenze per il gesto e si parlò del fatto per lungo tempo ridendoci sopra.
Altro episodio:
la classe, una terza elementare, è ordinatamente seduta su una panca in attesa delle disposizioni per iniziare il gioco.
I bimbi parlano fra di loro e si disinteressano di quello che dico.
Alzo la voce ed ottenuta la loro attenzione dichiaro:
“Guardate che ho l’abitudine di mordere chi non sta attento!”
Risate generali, però ho ottenuto disponibilità.
Mentre comincio ad elencare quello che faremo un bimbo alza la mano per fare una domanda. Penso non abbia capito una procedura e gli dico:“Dimmi”.
E lui di rimando: “Ma davvero dai dei morsi?”
Ancora risate generali, ma credetemi, quel dolce bambino me lo sarei portato a casa volentieri.
Un’altra volta invece, mentre alleno una prima elementare, incrociamo dei ragazzi delle medie che vengono a fare ginnastica nella palestra accanto alla nostra.
Ed una bella signorina che dimostrava qualche anno in più di quelli che aveva, ma lo saprò dopo, mi si avvicina, mi saluta con un “ciao Franco” e mi bacia su una guancia.
Non so cosa dire, la ragazza non la riconosco e sono molto imbarazzato davanti alla mia classe e alle maestre, ma per fortuna anche un altro ragazzino (e questo lo riconosco) mi saluta e mi chiede se andrò anche alle medie a fare baseball: erano ragazzi che avevo allenato qualche anno prima e la ragazza, decisamente precoce, proprio non l’avevo riconosciuta: “Ma come siete cambiati, accidenti. Chi vi riconosce più. Siete degli adulti ormai. Come state?……”
E l’imbarazzo finisce, ma è stato piacevole anche questo!*
Franco
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TERZABASE (venerdì, 25 maggio 2012 08:22)
Bravo Paolo,hai cominciato a parlare dei Tuoi ricordi e ti fanno onore.Ma la Tua è stata una corsa a cronometro e non ha squadre.Hai fatto molto per quei bambini, ma si doveva poi interessare a macchia di leopardo altre scuole.Ma nessuno ti avrebbe aiutato e questo io ne sono certo.La Federazione (e qui, lo posso dire perchè alla mia vetusta età ne ho ampia facoltà)se non è pilotata da validi politici,non fa nulla;caro Paolo i Tecnici sono come i pionieri che scoprirono nuove terre, ma poi fu la politica con l'interesse a rovinare gran parte di tutto. Non è polemica è verità.
Paolo (venerdì, 25 maggio 2012 08:50)
Caro TERZABASE, il racconto non è mio, ma di Franco Ludovisi. Ciao
TERZABASE (venerdì, 25 maggio 2012 19:01)
Vedi caro Paolo che "la vetusta età" comincia a funzionare.Un caro abbraccio.